mercoledì 27 gennaio 2010

L'ARTE RENDE LIBERI?


Nei rispettivi blog, Diego Cajelli e Tito Faraci pongono, tra il serio e il faceto, la domanda "Perché si scrive?". E, tra il serio e il faceto, propongono anche qualche possibile risposta.

Anni fa, con l’amica Alessandra Henke, lavorai a un progetto che poi non vide la luce: una storia che aveva al centro la domanda di cui sopra, allargata all’arte in generale; e posta, però, in circostanze drammatiche.

– Cosa dà senso all’arte? – A partire dal 1941, questa domanda se la posero i prigionieri internati nel campo di concentramento di Terezin. Quasi fino alla fine della guerra Terezin fu qualcosa di speciale. Diventò il “ghetto della musica”. I detenuti, tra cui c’erano molti musicisti, si organizzarono per suonare. A Terezin si compose musica. Fu scritta un’opera. Fu eseguito il Requiem di Verdi. Si organizzarono perfino spettacoli di cabaret.

La creatività dei prigionieri fiorì a un livello tale che i gerarchi nazisti pensarono addirittura di realizzare a Terezin un film. Un film propagandistico, ovviamente, che presentasse il campo più o meno come un’amena località di villeggiatura. I nazisti non ebbero bisogno di imporlo con le minacce: i prigionieri - in testa il regista Kurt Gerron - accettarono di buon grado la proposta di girarlo.

Speravano in un trattamento di favore, dopo? O speravano semplicemente che – sia pure in un modo perverso – il loro lavoro di registi, interpreti, scenografi potesse dar loro una pallida illusione di normalità? Chi lo sa. In ogni modo, contribuirono anche i bambini. Perché a Terezin ce n’erano migliaia, di bambini. Alcune donne tra le prigioniere organizzarono corsi per loro. I bambini disegnarono, scrissero perfino poesie.

L'arte li liberò, almeno nello spirito? Sarebbe in qualche modo consolante pensare di sì. Convincersi che cantare, suonare, scrivere, disegnare diede ai prigionieri una speranza, e che fu questa speranza a tenerli in vita fino alla conclusione della guerra.

Ma non andò proprio così. Musica a parte, Terezin era pur sempre un campo di concentramento, e tale rimase. Benché non fosse paragonabile ai campi di sterminio propriamente detti, i prigionieri vivevano in condizioni miserabili. Chiusi a decine in spazi ristretti, si ammalavano e morivano. Nel 1945 i nazisti, forse preoccupati che l’attività artistica potesse instillare idee pericolose nei prigionieri, o semplicemente stanchi di quel curioso diversivo, deportarono gran parte degli artisti di Terezin ad Auschwitz.

Quando arrivarono i russi, i bambini sopravvissuti erano all'incirca un centinaio. Si calcola che nel campo ne fossero transitati 15.000.

Gran parte delle testimonianze su Terezin si deve proprio ai piccoli prigionieri. Oggi possiamo dire che i loro disegni e le loro poesie non sono bastati a salvarli, ma hanno salvato almeno il loro ricordo. E, insieme, la memoria dell’orrore, per aiutarci a non dimenticare.



PS: per chi volesse approfondire, il materiale non manca. Esistono diversi volumi di memorie dei sopravvissuti, e cito solo due testi che ho letto: I never saw another butterfly, disponibile anche su Amazon, raccoglie molti dei disegni dei bambini. Il volume Music in Terezin 1941-1945 racconta le vicende dei musicisti.

giovedì 21 gennaio 2010

... E QUESTA NON E' LIBERTA'



La notizia è questa. Ogni giorno un po’ di libertà in meno. Fino… fino a quando? Fino a cosa?
La traduzione qua sotto è mia. Se trovate errori, vi prego di segnalarli.

"Non sto cercando di convincervi che dovrebbe piacervi quello che fa Larry Flynt. A me non piace! Ma quello che mi piace è che vivo in un Paese dove siamo noi a farci carico delle decisioni che riguardano noi stessi. Mi piace l’idea di vivere in un Paese dove posso comprare una copia di Hustler, e leggerla se mi va, o gettarla nella spazzatura, se ritengo che sia quello il suo posto. O, meglio ancora, esercitare la mia opinione e non comprarla. Mi piace l’idea di avere questo diritto. Io a questo ci tengo, e anche voialtri dovreste tenerci. Davvero, dovreste. Perché viviamo in un Paese libero.

Noi lo diciamo un sacco di volte, ma a volte sembra che ci dimentichiamo che cosa significa. Perciò riascoltiamolo: noi viviamo in un Paese libero… questo è un concetto magnifico, è un modo meraviglioso di vivere. Ma c’è un prezzo da pagare per questa libertà, ed è che certe volte dobbiamo tollerare cose che non necessariamente ci piacciono. Quando tornerete dentro quella stanza sarete liberi di pensare quello che volete di Larry Flynt e di Hustler. Ma poi chiedetevi se dovreste prendere una decisione anche per noialtri. Perché la libertà che tutti noi qua dentro apprezziamo è a tutti gli effetti nelle vostre mani.

E se noi cominciamo a tirare su sbarramenti contro certe cose che reputiamo oscene, potremmo svegliarci un giorno e renderci conto che degli sbarramenti sono stati eretti in tutti quei posti che non ci saremmo mai aspettati, e allora ci sarà impedito di vedere qualsiasi cosa, e di fare qualsiasi cosa.

E questa non è libertà.
"

Da Larry Flynt - Oltre lo scandalo (The People Vs. Larry Flynt), 1996, diretto da Milos Forman, scritto da Scott Alexander & Larry Karazewski

mercoledì 13 gennaio 2010

IPSE DIXIT 2


Cerco di darmi consistenza umana in quanto autore del lavoro, perché reputo indispensabile che il lettore comune capisca che queste cazzatine non sono giochi di prestigio; non si materializzano da sole su un PC; e non sono l'elaborazione collettiva di un comitato. Sono il difficile lavoro di una singola persona che si siede e digita su una tastiera.

Harlan Ellison, in un'intervista a Comic Books Resources

martedì 12 gennaio 2010

INCONTRO CON ANDREA CUNEO

Aggiornamento flash: sabato 16 gennaio 2010 alle ore 16.30, presso i locali della Galleria Libreria dell'Arco a Santa Margherita Ligure, si svolgerà un incontro con il nostro Andrea Cuneo, disegnatore di America, America (Caravan n. 6).

Saranno inoltre esposte le tavole originali del volume.

Per contatti:

Galleria libreria dell'Arco
via dell'Arco 17
16038 Santa Margherita Ligure
0185285276

HOPPER (MA NON DENNIS)

A Milano è ancora in corso una mostra dedicata a Edward Hopper (1882–1967), forse il pittore americano più famoso del ventesimo secolo.

In realtà dell’Hopper più famoso, quello delle case bagnate dalla luce, immerse in un tempo congelato, c’è poco. Molto interessante e ben documentato, però, è il percorso che ha portato a quelle opere. Ci sono schizzi a carboncino, splendide illustrazioni per riviste, i primi tentativi con la pittura a olio e un’ampia sezione sul periodo parigino del pittore.

Curiosa la parte “erotica”, poco nota al grande pubblico, abbastanza fredda e popolata di figure femminili androgine. Poteva mancare la parte interattiva? Ovviamente no. Se avete mai desiderato entrare fisicamente in un quadro di Hopper, ora potete farlo. In una apposita saletta è riprodotto l’ambiente del dipinto Morning Sun. Potete quindi sedervi al posto della donna raffigurata nel quadro e vedere proiettata la vostra immagine su uno schermo.


Qualcuno avrebbe magari preferito un’altra mezza dozzina di quadri al posto del giochino di cui sopra (opera del videomaker Gustav Deutsch, per la cronaca), ma non mi sembra il caso di mugugnare. Per l’Italia, questa è la prima mostra di una certa consistenza dedicata all’artista americano, e merita senz’altro una visita.

La mostra ha anche una ricca parte “testuale” sulla vita di Hopper. Ed è curioso notare come Hopper sia stato la smentita vivente al mito dell’artista incompreso e maledetto, all’abbinamento “genio e sregolatezza”.

Le foto ci rivelano un signore dall’aria austera, alto e ben vestito. Le decine di schizzi esposti (ovviamente una piccola parte della quantità sterminata prodotta dal pittore in gioventù) sono là a testimoniare un’arte nata dalla pratica quotidiana, e non da un misterioso dono del cielo.

È vero che Hopper non era giovanissimo – aveva quarantun anni – quando raggiunse il successo (in gran parte per merito della moglie Josephine Nivison, sua modella, musa, manager, compagna di tutta la vita). Ma una volta raggiunta la vetta, non scese più. Artista ormai riconosciuto, acclamato (e benestante) continuò a vivere e a produrre per molti anni nel suo vecchio studio, in un palazzo senza ascensore.

Quanto al parlare della sua arte, disse: “Se sapessi esprimere una cosa con le parole, non la dipingerei”.

mercoledì 6 gennaio 2010

FILL-IN, NOTHING MORE THAN FILL-IN...



ATTENZIONE: QUESTO POST CONTIENE ANTICIPAZIONI SU CARAVAN n. 8

Caravan
n. 8, Il gioco della guerra, è nato per essere quello che gli americani chiamano un fill–in ("riempitivo", alla lettera). Un albo che racconta una storia a sé (anzi, tre storie a sé) senza inserirsi nella continuity.

Nell’idea originaria i Donati non comparivano neppure. I militari dovevano essere i soli protagonisti, e la storia sarebbe stata di pura azione, l’unica nella serie.

Mentre scrivevo le prime tavole ho cominciato ad avere dei ripensamenti. Strutturato in questo modo, l’albo sarebbe stato realmente un fill–in, e niente più di questo. Una delle caratteristiche di Caravan è quella di presentare in ogni episodio un tema trattato da diverse angolazioni, cosa che in questo albo sarebbe mancata.

Mentre ci ragionavo sopra, mi sono venute in mente due storie che non avevano trovato posto negli albi precedenti. Una era quella del bombardamento del quartiere milanese di Gorla (1944), e l’altra era quella della sparatoria alla Kent State University (1970), immortalata dalla canzone Ohio di Crosby, Stills, Nash & Young.

Nella storia della strage di Gorla (duecento bambini morti tra le macerie della loro scuola) sono incappato senza volerlo, quando anni fa, in giro per Milano, mi capitò di passare per caso in Piazza dei Piccoli Martiri. La statua – tanto imponente quanto inquietante – mi colpì immediatamente. Ho letto poi che rappresenta una donna in lutto, ma l’idea che mi ha dato alla prima occhiata era che si trattava di una personificazione della Morte. Potete vederla qua sopra. Se invece volete vederla nel suo contesto, basta cercare “Milano, piazza dei Piccoli Martiri” su Google Maps e scegliere l’opzione Street View.

Inutile dire che ho compiuto le mie brave ricerche prima di scrivere. Mi sono preso qualche licenza solo sulle location. Il mercato in cui un Massimo diciottenne accompagna la zia dovrebbe essere verosimilmente quello all’incrocio tra viale Monza e via Monte San Gabriele, ma non ho fatto in tempo a fotografarlo (e d’altronde, suppongo che oggi sia diverso da com’era negli anni ottanta, periodo in cui si svolge la storia). Werner Maresta ha disegnato un mercato verosimile, ma di fantasia. Tutto il resto – l’edificio scolastico, gli abiti dei personaggi, perfino la formazione dei bombardieri in volo – è ricostruito su foto dell’epoca.

In particolare mi sono stati utili due libri: Milano, 92 giorni alla fine, di Francesco Ogliari, edizioni Selecta; e Hinn adrée a bombardà Milan, a cura di Ambrogio Borsani, edizioni Carte Scoperte.

Se avete letto l’albo, adesso ne sapete abbastanza sulla tragedia di quel mattino d’ottobre del 1944. Qualora voleste saperne ancora di più, il sito dei Piccoli Martiri vi dice tutto. Attenzione, genitori: il sito contiene una foto dei cadaveri (preceduta comunque da un avviso).

Riguardo alla storia del massacro alla Kent State University, la conoscevo fin da ragazzo per via della canzone di CSN & Y. Poi, a metà degli anni ottanta, in un tedioso pomeriggio estivo la RAI mandò in onda un film tivù dal titolo Quello che accadde a Kent (Kent State), diretto da James Goldstone nel 1981. Mai più rivisto. Non esiste nemmeno una versione per l’homevideo. E non ce n’è traccia nemmeno su You Tube. A leggere i pareri su IMDB, gli autori si sono presi parecchie libertà, ma da quello che ricordo il film aveva un buon ritmo e risultava intrigante.

Gli strascichi processuali della vicenda sono stati complessi – come è facile intuire – e si sono trascinati a lungo. Non tutti i soldati sono finiti sotto processo. In tempi recenti è saltata fuori una registrazione in cui si sente qualcuno dare l’ordine di aprire il fuoco.

I soldati della Guardia Nazionale che aprirono il fuoco sugli studenti non erano stati aggrediti fisicamente, né, armati com'erano, potevano trovarsi in serio pericolo. Impossibile sapere per quale motivo cominciarono a sparare (e se un ordine ci fu, resta inspiegabile il motivo di quell’ordine).

Allo stesso modo, in quel tragico ottobre del ‘44 non c’era motivo al mondo per scaricare le bombe su abitazioni civili. In base alle istruzioni (e a un minimo di umana decenza) i piloti scaricavano le bombe inesplose in mare o in aperta campagna. Il motivo per cui il comandante ordinò di scaricarle su Gorla non si saprà mai.

Ciò che unisce queste due storie al main plot dell’albo non è tanto il fatto di essere storie “di guerra” (e d’altronde, tecnicamente, quella su Kent non lo è); ma il fatto che due stragi siano derivate da azioni senza senso pur in una situazione “di guerra”.

Ammesso e non concesso che la guerra abbia un senso.

PS: ringrazio Maurizio Gradin e Werner Maresta, che hanno lavorato a ritmo serrato “portando a casa” l’albo in tempi ristrettissimi.

venerdì 1 gennaio 2010

KEEP ON ROCKING IN THE FREE WORLD



Impossibile da tradurre in italiano, certo. Keep on rocking, andare avanti dondolando, barcollando, con incertezza, nel nostro mondo "libero". Ma anche andare avanti con la musica, con l'energia del rock.
Ho tradotto "continua a ballare". E' il mio augurio per tutti: un 2010 di musica, keeping hope alive. Su le casse... e buon anno!

Ci sono colori sulla strada,
rosso, bianco e blu,
gente che trascina i piedi,
gente che dorme con le scarpe.
C’è un cartello che ci avverte
sulla strada, davanti a noi
e c’è un sacco di gente che dice
che ci vuole morti.
Non mi sento affatto un diavolo,
ma per questa gente lo sono
e così cerco di dimenticarmelo
per quanto mi è possibile.

Continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero

Vedo una donna nella notte,
tiene un bambino in braccio
sotto un vecchio lampione,
vicino a un bidone della spazzatura.
E adesso getta via il bambino
e subito va a farsi una canna,
lei odia la sua vita
e quel che ne ha fatto.
E così c’è un altro ragazzo
che non andrà mai a scuola,
che non si innamorerà,
non imparerà a essere fico.

Continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero

Abbiamo migliaia di punti d’accoglienza
per aiutare i senzatetto,
abbiamo un modo più gentile e delicato
per tirare il grilletto di un’arma,
abbiamo centri commerciali,
abbiamo la carta igienica,
usiamo scatole di styrofoam
per conservare l’ozonosfera.
Abbiamo un uomo del popolo,
che dice: “Teniamo in vita la speranza”,
abbiamo carburante da consumare,
e strade per guidare.

Continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero
continua a ballare nel mondo libero

Neil Young, Keep On Rocking in the Free World