venerdì 24 aprile 2009

JERICHO NON C'ENTRA NIENTE

Tre anni fa, ai primi tentativi di spiegare agli amici “di cosa parla” Caravan, mi sentii dire: “Ah, è una cosa tipo Jericho!”. Io Jericho non l’avevo vista (d’altronde era ancora inedita in Italia) e non sapevo nemmeno che esistesse. A quel punto, a scanso di guai, evitai di guardarla. Ho visto un paio di puntate in tivù solo quando ero già a metà del lavoro su Caravan, e l'ho guardata per intero solo poco tempo fa. Beh, Jericho non ha nulla in comune con Caravan, né nello spunto iniziale né nella struttura. E, a parte questo, l’ho trovata una serie un po’… lo dico? Ma sì: sfigata. Un casting non interamente azzeccato e una partenza lenta. Troppo. Dopo la prima puntata col botto (letteralmente) il plot arranca: intrecci sentimentali da soap e una tensione che stenta a montare. Poi le cose si movimentano un po’ – soprattutto grazie a James Remar – e si va in crescendo, ma gli autori hanno aspettato troppo a darsi una mossa. La CBS ha cancellato la serie dopo la prima stagione e poi l’ha resuscitata grazie alle proteste dei fans, con una seconda stagione prudentemente breve: sette puntate. Fiasco anche con quella, fine di Jericho. Trovo comunque assurdo che non si sia approfittato delle sette puntate per chiudere degnamente la serie. Forse pensavano di tirare avanti all’infinito distribuendo risposte col contagocce, in stile Lost. D’altronde, il finale della prima serie col cliffhanger era vergognoso. Se io ti ho seguito per ventidue puntate, la chiusura completa di uno story–arc è il minimo che mi devi dare. E se sei stato non dico bravo, ma nei confini della decenza, non mancherò l’appuntamento con la seconda serie. Ma se tu, autore, hai bisogno di chiudere col cliffhanger per convincermi a vedere la stagione successiva… beh, amico, il primo ad avere dubbi sulla tua serie non sono io che la guardo, sei tu che la scrivi.

PS: ho tentato disperatamente di ricordarmi dove avevo già visto Pamela Reed, l’attrice che interpreta la moglie del sindaco Green, poi mi sono arreso e ho sbirciato IMDB. Era la fuorilegge Belle Starr nei Cavalieri dalle lunghe ombre (1980) di Walter Hill. Per amor suo David Carradine (nel ruolo di Cole Younger) duella con… indovinate? James Remar, nei panni del di lei marito Sam.

domenica 19 aprile 2009

I SEMI DI UN'IDEA

Va bene, il viaggio sta per cominciare, e se volete salire a bordo un po’ in anticipo siete i benvenuti.

Probabilmente su Caravan sapete già qualcosa. Magari quello che è scritto nel sito della Sergio Bonelli Editore, o nello spazio anteprime di uBC.

Qui scoprirete qualcos’altro ancora. E non tanto sulle dodici storie che leggerete nella serie, ma su quello che c’è “a monte” di quelle storie (le idee, gli spunti, le soluzioni scartate) e su quello che c’è “intorno”: coincidenze, riflessioni a posteriori, digressioni.

E adesso, per cominciare proprio dall’inizio, vorrei raccontarvi che Caravan è nato da una canzone di Bruce Springsteen, Seeds (semi). Quando la sentii per la prima volta (nel 1990 o giù di lì) non capii il testo, ma solo qualche frase: c’era una famiglia che dormiva in macchina, in fuga da qualcosa… un poliziotto batteva col manganello sul vetro dell’auto ferma, dicendo: “Move along, move along”. Sembrava che su quella famiglia incombesse un’apocalisse.

Avevo fantasticato sulla possibilità di trarre un racconto da quelle immagini. Da cosa fuggiva quella famiglia? Da una fuga radioattiva? Dalla terza guerra mondiale? O forse dai marziani? Ma Nathan Never era agli inizi, e l’idea della famiglia in fuga rimase in un cassetto. Mai avrei immaginato di tirarla fuori dopo qualcosa come quindici anni.

E a quel punto, una volta deciso di riaprire quel famoso cassetto, cercai il testo di Seeds per vedere di che cosa parlava effettivamente. E feci una scoperta.

SEMI (1986), Bruce Springsteen

Un uomo aveva scoperto un grande fiume nero,
e spese tutti i suoi soldi per fare un buco nel terreno,
mandò una trivella di ferro giù, giù fin nel profondo

ed ecco perché adesso vivo sulle strade di Houston.


Ho caricato moglie e figli all’arrivo dell’inverno

e siamo venuti qui al sud con le tasche piene soltanto di speranza,

ma ci hanno detto, “ci spiace, adesso è tutto finito”.


Ci sono uomini accovacciati sui binari del treno

e il fischio dell’Elkhorn Special è così forte da spettinarmi

hanno eretto delle tende sull’autostrada in questo sporco chiaro di luna

e io non so dove dormirò questa notte.


Siamo parcheggiati nel deposito del legname, a congelarci il fondoschiena
,
i ragazzi seduti dietro hanno una tosse micidiale,
io dormo davanti con mia moglie,
quando un manganello batte sul parabrezza nel bel mezzo della notte,

dice: “Circolare, amico, circolare.”


C’è una grande limousine nera luccicante,
e per te non c’è niente davanti e più niente alle tue spalle;

dopo che ti hanno steso, quante volte ancora puoi rialzarti?

Giuro che se avessi ancora una goccia di saliva

la sputerei sulla tua cromatura scintillante,

e a casa ci rimanderei voialtri, tutti quanti.

Quindi se vuoi lasciare la tua città, là dove soffia il vento del nord

per andare giù al sud dove scorrono fiumi di dolce soda,
pensaci due volte, è meglio, amico mio,

meglio che ti compri subito un fucile e che lo usi,

perché quaggiù non troverai niente,
soltanto semi soffiati sull’autostrada dal vento del sud.


Nel 1984 la crisi petrolifera aveva colpito duro gli Stati Uniti. E, in concomitanza con la crisi del mercato immobiliare, aveva innescato anche il fallimento a catena di una serie di banche, a cominciare dal clamoroso crack della Continental Illinois di Chicago nel 1984 fino a quello della First City Bancorp di Houston, nel 1988. Nel Texas, nove delle dieci banche più grandi fallirono.

A metà degli anni ottanta, nella sola Houston 150.000 persone si ritrovarono all’improvviso senza lavoro. E nel frattempo l’industria del petrolio aveva attirato laggiù centinaia di famiglie di lavoratori. Gente che si era lasciata tutto alle spalle per emigrare al sud in cerca di lavoro; e ora si trovava, letteralmente, sulla strada, senza un soldo, senza una casa a cui tornare e senza un posto dove andare. Era questo che Bruce Springsteen raccontava, e io non avevo capito nulla. Seeds non parlava di minacce aliene né della terza guerra mondiale. Quei semi “portati dal vento sull’autostrada” erano nient’altro che semi. Ma per quanto riguarda il sottoscritto, sono germogliati in un’idea.