mercoledì 30 dicembre 2009

IPSE DIXIT


Non c'è modo di vincere al gioco della critica. Se si ha un briciolo di cervello si abbandona questa speranza illusoria. Si fa il film che si reputa attraente o interessante, e lo si fa al meglio delle proprie possibilità. Se i critici lo apprezzano, benissimo. Se non lo apprezzano, lasciamoli perdere.

Robert Aldrich

11 commenti:

illuminatienon ha detto...

E' giusto che un autore scriva per se stesso in primis, anche se, come in tutti i lavori, l'apprezzamento da parte degli altri risulta gratificante e funge da sprone per nuovi progetti. In definitiva, non si può non tenere conto del giudizio critico.

Michele Medda ha detto...

Occhio a non confondere un generico "apprezzamento" (che è quello del pubblico in generale) e il giudizio critico (che è il giudizio dei recensori). Aldrich si riferiva a quest'ultimo. Mi pare ovvio che se manca l'apprezzamento del pubblico un autore si chiede legittimamente se sa fare il suo lavoro. Le lodi dei critici, invece, servono a poco se manca il sostegno del pubblico.

Manfredi ha detto...

Mi sembra il discorso che ha fatto De Sica a proposito di cinepanettoni e film d'autore...

Non è detto che il sostegno del pubblico funga da bollino di qualità per un'opera artistica.

Michele Medda ha detto...

Non so cos'abbia detto De Sica. Certamente Aldrich non ha detto che il sostegno del pubblico imprime un bollino di qualità all'opera (né lo dico io).

Molto pragmaticamente, è il sostegno del pubblico pagante che permette all'autore di vivere.

Aldrich è stato un autore coerente e tostissimo. Ha avuto grandi successi (pochi) e grandi insuccessi (molti), seguendo testardamente la propria idea di cinema. Se avesse seguito supinamente i gusti del pubblico avrebbe clonato all'infinito "La sporca dozzina", diventando l'antesignano dei registi da blockbuster. Così non è stato. Oggi è ricordato sia per i suoi successi di cassetta sia per altri film non di successo, ma personali e ancora oggi notevoli, come "L'assassinio di Sister George" e "Nessuna pietà per Ulzana".

Che successo di pubblico e di critica siano l'uno alternativo all'altro è un mito. I poveri Vanzina vengono scomodati sempre come cattivo esempio per dire che il grande successo di un film è di per sé indice di scarsa qualità. Dimenticandosi che "Il padrino", tanto per citare un capolavoro passato qualche giorno fa in tivù, ha avuto un successo stratosferico.

Nemo ha detto...

*I poveri Vanzina vengono scomodati sempre come cattivo esempio per dire che il grande successo di un film è di per sé indice di scarsa qualità.*

Semmai direi il contrario, ovvero che il grande successo di un film NON è di per se indice di alta qualità.
Così come il poco successo ai botteghini non indica per forza un film scarso.

Ci sono esempi di film stupendi che hanno venduto tantissimo (Il Padrino da te citato) ed altri meravigliosi che sono stati invece un flop pazzesco nelle sale (Blade Runner su tutti, ma qui gli esempi sarebbero infiniti...).

In altre parole il successo di pubblico non si può mai legare alla qualità, sia in positivo che in negativo.
Se poi per "qualità" si intende un indice riferito all'industria o all'azienda film, allora il successo di pubblico è l'unico fattore da considerare.
Nelle vendite infatti influiscono tanti altri elementi, soprattutto quelli legati alla promozione e alla pubblicità.

Personalmente intendo il termine "qualità" in modo diverso... però non fa una piega che le vendite aiutino a campare. ;)

Michele Medda ha detto...

"I poveri Vanzina vengono scomodati sempre come cattivo esempio per dire che il grande successo di un film è di per sé indice di scarsa qualità."

"Semmai direi il contrario, ovvero che il grande successo di un film NON è di per se indice di alta qualità."

No. E' proprio come ho scritto. Dammi retta, Nemo. Esiste un grande pregiudizio critico che abbraccia tutte le forme espressive senza distinzione, film, dischi, libri, fumetti: "Se vende tanto, è pessimo". Quando la critica fa delle eccezioni - come nel caso del "Padrino" di Coppola - le fa a denti stretti. Molto stretti.

Nemo ha detto...

Lungi da me difendere i critici! Ci sono milioni di pregiudizi.

Io mi riferisco al concetto generale. Il rapporto vendite/qualità esiste solo se si considera la forma espressiva come prodotto, nel senso industriale del termine. E per qualità intendo in questo caso la capacità di quell'azienda di raggiungere i risultati, quindi di vendersi, di fare marketing.
Maria De Filippi definisce Artisti solo chi vende TOT numero di copie... quindi mi verrebbe da pensare che (ad esempio) Marco Carta possa rappresentare di più la qualità rispetto (ad esempio) agli Avion Travel... e questo indipendentemente dai gusti.
Ma secondo me non è così.

Infatti se un film è molto bello può sia sbancare il botteghino (Il Padrino) che passare dalle sale nell'indifferenza totale (Blade Runner).
Se un film è di scarsa qualità può anch'esso a sua volta vendere tantissimo oppure scomparire nell'oblio.
Quindi, a mio avviso, la qualità NON è indice di successo, così come il successo NON è indice di qualità.

Che poi i critici, un po' come i giornalisti italiani, siano portati a schierarsi non ci piove.
Ma questo credo possa avvenire anche in senso contrario, ovvero non riuscire ad esprimere una critica negativa anche di fronte ad un prodotto che non è piaciuto... solo perché proveniente da un regista comunemente riconosciuto "di qualità"...

gianluca ha detto...

secondo me la frase va letta in un modo leggermente diverso: l'autore deve fregarsene dei critici, poichè i critici devono parlare solo al pubblico. Io fruitore leggo le recensioni per avere un consiglio, spendere i miei soldi per quell'opera oppure no? Ma se invece la critica vorrebbe instaurare un dialogo con l'autore, allora si crea un cortocircuito che non mi piace.

Sul discorso successo/qualità la mia idea sta nel mezzo: di certo chi ha successo va sempre ben analizzato perchè c'è sempre una ragione. Se apprezzarlo o no, invece, è questione di gusti personali.

Michele Medda ha detto...

Sono d'accordo su entrambi i punti, Gianluca, almeno per quanto riguarda le recensioni (credo che Aldrich parlasse di quelle, non della storiografia del cinema).

Sul secondo punto, è verissimo, c'è grande successo e grande successo. Cioè ci sono grandi successi spiegabilissimi e scontati, perché magari fanno leva su ingredienti "facili". E ci sono grandi successi che arrivano apparentemente a sorpresa.

Mentre magari, analizzandoli, ci si accorge che gli autori sono stati abili ad anticipare una tendenza, o hanno elaborato in maniera nuova e originale uno spunto logoro, eccetera. Insomma, ci sono grandi successi che - anche senza raggiungere le vette del capolavoro - rivelano "a monte" un lavoro d'ingegno complesso e degno di attenzione critica.

Nemo ha detto...

Credo che stiamo dicendo tutti le stesse cose alla fine... :)

Infatti con "il successo NON è indice di qualità e viceversa" intendevo proprio quello.
Ogni successo deve essere analizzato come caso a se stante, non si può creare una regola.

Come dice Michele ci può essere un'intuizione, comunque della qualità ... oppure ci si può appoggia a motivi "facili".
Io insisto nel sottolineare il peso del marketing, che non è certo facile, ma che per me a poco a che fare con la qualità di una forma espressiva.

Ad esempio Avatar di Cameron sbancherebbe i botteghini a prescindere, anche se il film fosse bruttissimo! Non so se mi spiego...

Anonimo ha detto...

Articolo e commenti molto ineteressanti.
Aggiungo come nel caso del fumetto la situazione sia più spinosa del solito...
I romanzi, i film e persino prodotti televisivi hanno dei critici pagati da editori. Critici che pubblicano su quotidiani o riviste comprate da un pubblico. Possono piacere o meno i parerei espressi, ma sono pur sempre il frutto di una professione.
Per il fumetto, fatta eccezione per poche riviste cartecee abbiamo internet. Può un lettore qualsiasi, dal giorno alla notte, aprire un sito web e autonominarsi di punto in bianco critico autorevole? E se il critico web è anche un aspirante autore? Come potrà serenamente parlare di fumetti senza farsi condizionare?

Antonio