giovedì 25 giugno 2009

INTERVISTA

Si continua a parlare di Caravan. Un'altra intervista al sottoscritto, stavolta per il sito www.mentelocale.it, a cura di Francesco Cascione.

STAND BY

Solo chi aspira a vivere di questo lavoro può capire a cosa mi riferisco: si ha da subito l'esigenza di trovare il giusto equilibrio, o compromesso, tra le proprie aspirazioni artistiche e il compenso economico. Questa situazione rende tutto incredibilmente complicato, con la conseguenza che il lato “romantico” di questo bellissimo mestiere va a farsi fottere. Si è portati a creare senza sosta per proporre sempre qualcosa di nuovo, ma così facendo si rinuncia allo studio, alle pause che, per chi fa arte, sono tutto! Le pause sono come l'aria o l’acqua: ti rigenerano, ti permettono di fare il punto della situazione per capire cosa stai combinando, ti consentono di fare altro, o niente, e persino quel niente è importante, perché ti “resetta” la mente.

Alberto Pagliaro, intervistato da Marta Cerizzi per il sito Lo Spazio Bianco.

sabato 20 giugno 2009

SPECIALE CARAVAN

Con colpevole ritardo, segnalo lo speciale che il sito Comicus ha dedicato a Caravan. Un'occasione per due chiacchiere con Roberto De Angelis, Stefano Raffaele, Emiliano Mammucari, Michele Benevento e Werner Maresta, sottoposti a terzo grado da Stefano Perullo. Enjoy!

venerdì 19 giugno 2009

DISTRIBUZIONE

Alcuni lettori lamentano di non riuscire a trovare Caravan, soprattutto al sud. Insistete con il vostro edicolante perché richieda l’albo al distributore.

Purtroppo i distributori concentrano le copie nelle grandi città, dove ritengono – a ragione o a torto – di avere maggiori probabilità di vendere. Il risultato è una distribuzione “a macchia di leopardo” che lascia fatalmente alcune zone sguarnite.

In ogni caso, dovunque abitiate, se avete difficoltà a reperire l’albo nella vostra città segnalatemelo con un commento a questo post. Riferirò alla casa editrice perché faccia pressione sul distributore.

E ricordatevi che niente è irrimediabile: a partire da un mese dopo l’uscita di un albo in edicola potete ordinarlo come arretrato, anche on line dal sito della casa editrice.

giovedì 18 giugno 2009

PUNTI DI SVISTA

Solo in epoca relativamente recente (da quando si sono diffusi i videoregistratori) si è cominciato a parlare dei blooper disseminati nei film. Che sono sempre esistiti, solo che prima era difficile accorgersene. I blooper sono connaturati al modo di realizzazione dei film: una scena che noi percepiamo sullo schermo come unità è in realtà un assemblaggio di diverse riprese. Nella stessa scena capita quindi di vedere oggetti che cambiano posizione da un’inquadratura all’altra, o addirittura personaggi che cambiano abbigliamento. Per non parlare di microfoni visibili, di cameramen che entrano nell’inquadratura, e via dicendo.

Nessun film (e nessun regista) è immune dai blooper. Il blooper è democratico come il raffreddore: colpisce chiunque.

Anche il fumetto ha i suoi blooper, e qualcuno potrebbe porsi legittimamente chiedersi perché, visto che la lavorazione di un fumetto è più “lineare” di quella di un film. Ma la spiegazione è semplice: gli sbagli esistono perché tutti, senza eccezioni, possiamo sbagliare. E d’altronde la lavorazione di uno qualsiasi dei nostri albi non è lineare come sembra: tra le varie fasi di sceneggiatura, disegno, lettering e correzioni normalmente si protrae per quasi un anno.

Le sviste sono perciò inevitabili, ma attenzione: ci sono sviste di due tipi. Quelle del primo tipo sono sviste vere e proprie, e hanno la più banale delle spiegazioni: sono scappate alla revisione perché in revisione si è guardato e si è corretto qualcos’altro. Anche se le vignette con le sviste più divertenti, purtroppo per voi lettori (o per vostra fortuna), non le vedete su internet. Sono appese dietro le scrivanie dei redattori, monumento perenne alla tragicomicità del nostro lavoro quotidiano.

Le sviste del secondo tipo invece sono sviste “finte”, perché sono lasciate passare a sangue freddo o addirittura sono cercate. Cioè sono vere e proprie licenze narrative peculiari del fumetto.

Come il fatto che in copertina non si riporti mai fedelmente una scena della storia (altrimenti tanto varrebbe pubblicare una vignetta ingrandita), ma si cerchi una immagine simbolica che della storia riassume il senso.

Come il fatto che i nostri eroi – specie nelle serie classiche – diventino improvvisamente mancini, e sappiano sparare con la sinistra altrettanto bene che con la destra.

Come il fatto che le stanze dei nostri fumetti abbiano, quando serve, cinque pareti (o anche sei, a volte) e le finestre si spostino di qua e di là a seconda delle esigenze “scenografiche”.

Come il fatto che l’eroe, tra un agguato e una sparatoria, abbia il tempo per tornare a casa e cambiarsi d’abito (e farsi sparire lividi ed ecchimosi nel giro di poche pagine).

Come il fatto che Dylan Dog non abbia una casa, ma centinaia. O meglio: la casa è la stessa, ma disegnata in centinaia di modi diversi.

Come il fatto che nessuno dei personaggi di un fumetto incespichi mentre parla o faccia dei lapsus o lasci delle frasi a metà, a differenza di chiunque di noi.

O come il fatto che in un cast di venti personaggi, miracolosamente, tutti abbiano nomi diversi (e facili da pronunciare), abiti diversi, pettinature diverse, in modo da essere sempre riconoscibili a prima vista.

Perché avviene tutto questo? Perché applicare piattamente al fumetto criteri di rigido realismo sarebbe come applicarli all’opera lirica. Sarebbe tanto impraticabile quanto assurdo.

In base al concetto del raffreddore “democratico” di cui dicevamo sopra, probabilmente anche nei prossimi numeri di Caravan troverete sviste vere e proprie. Speriamo pochissime. Ma troverete anche sviste “del secondo tipo”, cioè tutte le licenze narrative possibili. E se dopo avere letto questo post leggerete gli albi con più attenzione, beh… sappiate che il lettore attento non è quello che riesce a cogliere le prime. È quello che capisce le seconde.

martedì 16 giugno 2009

IL NUMERO UNO

Mickey Spillane diceva che è la prima pagina che vende il tuo libro, ed è l’ultima che vende quello successivo. La stessa cosa può dirsi del primo numero di una serie a fumetti.

Devi presentare i personaggi, la situazione, e in una certa misura il mood della serie. Devi farlo senza rivelare troppo, in modo da non rovesciare sul lettore una mole di informazioni che vanno diluite nell’arco della serie. Sperando ovviamente di convincere il lettore a comprarla tutta, la serie.

Mi piacerebbe pensare che c’è una procedura da seguire, attenendosi alla quale si può realizzare un numero 1 da urlo. Beh, questa procedura non c’è. Non c’è nemmeno per le serie tradizionali, quelle con l’eroe e la spalla. E Caravan è una miniserie, strutturata in maniera diversa dalle serie tradizionali.

Come dovevo scriverlo, questo numero 1?

Alcune situazioni (per esempio la partita di calcio con la scena del rigore) le avevo già abbastanza chiare in testa prima di cominciare a scrivere. Ovviamente sapevo chi sarebbero stati i protagonisti, e quale sarebbe stata la conseguenza dell’apparizione delle “nuvole strane” nel cielo su Nest Point. Non sapevo nient’altro, però. E il resto – cioè tutto il subplot relativo ad Adrian Richards – è saltato fuori mentre scrivevo. A due terzi dell’albo sono tornato indietro e ho inserito la scena del diverbio. Fino a quel momento non avevo idea che Alistair Richards avesse un figlio. Ma una volta che mi è venuto in mente ho capito che quel subplot poteva tornarmi utile sia a livello puramente “meccanico” (è il “caso di puntata” dell’albo), sia sotto un altro punto di vista che si chiarirà, spero, man mano che la serie andrà avanti.

Caravan è all’ottanta per cento frutto di improvvisazione (uso questa parola rischiando di essere frainteso, ma voi non mi fraintenderete, vero?). Andando avanti con la scrittura ho abbandonato alcuni personaggi presentati nel numero 1 e ne ho sviluppato alcuni che non prevedevo di sviluppare.

Non ho mai nascosto la mia ammirazione per Ed McBain e la sua saga dell’87° distretto. Da ragazzino – da lettore istintivo e immaturo – ero affascinato dalla folla di personaggi che popolavano quel ciclo di romanzi. Ogni volta che cominciavo un nuovo romanzo mi intrigava l’idea di scoprire chi ne sarebbe stato il protagonista. Carella? Meyer? Kling? Eileen Burke? Il criminale senza nome noto solo come il Sordo? Immaginate la mia sorpresa quando a volte scoprivo che il protagonista era l’assassino (come nell’indimenticabile Tutto regolare, mamma), a volte la vittima (L’assassino ha confessato), o quando l’indagine poliziesca cedeva il passo a una storia di passione proibita (Parenti di sangue). Da un lato trovavo la scoperta frustrante – avrei sempre voluto che il protagonista fosse uno dei miei personaggi preferiti – ma dall’altro ne ero affascinato.

Da adulto ho capito quanto ci fosse di istintivo – nel senso migliore del termine, quindi direi di spontaneo – nell’approccio di McBain, capace di costruire una storia articolata anche su personaggi minori, di abbandonarsi al flusso creativo senza seguire schemi prefissati (dopo due romanzi arrivò anche a “uccidere” Stephen Carella, prontamente “resuscitato” dall’editore con un taglio di tre righe).

Con tutti i distinguo del caso, in Caravan ho cercato un approccio analogo. E questo mi ha consentito di affrontare tranquillamente – beh, diciamo con meno patemi – la stesura del numero 1.

Non ho considerato Il cielo su Nest Point come “il numero 1", l’albo che deve dire tutto qui e adesso. È “solo” un numero 1, l’inizio della storia. È la partenza per un viaggio. Per i protagonisti, per l’autore, e spero anche per i lettori.

giovedì 11 giugno 2009

CARAVAN A RADIO2

Questo pomeriggio si è parlato di Caravan nel programma Condor, su Radio2. Un grazie a Matteo Bordone e Luca Sofri, che segnalano il fumetto anche nel blog della trasmissione.

mercoledì 10 giugno 2009

IN CAROVANA VERSO L'IGNOTO


Così La Repubblica di oggi, a pagina 37, intitola l'articolo che parla di Caravan, firmato da Luca Raffaelli. C'è anche una mini-intervista al sottoscritto e due tavole, rispettivamente di Roberto De Angelis e Stefano Raffaele.

Da oggi siamo "ufficialmente" in edicola. Lo scrivo tra virgolette perché in realtà, nei giorni scorsi, l'albo era stato già distribuito in alcune aree del centro Italia.

E da oggi siamo anche nel sito della Sergio Bonelli Editore. Se andate nella homepage vedrete che l'adolescente Davide Donati si è aggiunto alla schiera degli eroi bonelliani (è l'ultimo a destra). Cliccando sull'immagine di Davide avrete accesso alla pagina principale del mini-sito di Caravan, questa.

Il viaggio è cominciato.

PS: per non confondersi: la pagina 37 suddetta si riferisce all'edizione milanese di Repubblica. Mi dicono che la numerazione può variare nelle altre edizioni.

domenica 7 giugno 2009

LET'S JUDGE A BOOK BY ITS COVER


Nel blog di Emiliano Mammucari potete vedere le varie fasi della lavorazione della copertina del numero 1 di Caravan. La nostra prima idea era mettere in copertina solo la piccola Ellen. Dopotutto, è lei la prima ad accorgersi che c'è qualcosa di strano nel cielo su Nest Point.

Scartato il primo bozzetto (Ellen non appariva spaventata), abbiamo cominciato a renderci conto che era difficile mostrare contemporaneamente la bambina e il cielo minaccioso. In uno slancio virtuosistico, Emiliano aveva proposto addirittura di concentrarci su Ellen e di mostrare il cielo riflesso nei vetri della finestra. (E' lo schizzo che vedete qua sopra. Ellen appare troppo adulta, lo so, ma è solo una prova, non siate pignoli).

Discutendo i bozzetti in redazione sono venuti a galla altri problemi che andavano aldilà del disegno.

Dopotutto Ellen, piccola com'è, non ha un ruolo da protagonista nella storia. Che impressione avremmo dato mettendo una bambina sulla cover del numero 1? Non avremmo dato l'idea che avevamo una bambina protagonista? E quindi, non era più giusto mettere suo padre? O tutta la famiglia? Oppure il solo Davide, dal momento che è lui a raccontare la storia col suo diario?

Alla fine Emiliano ha proposto Davide ed Ellen, e ci è sembrata la sintesi migliore per la storia. Due ragazzini, fratello e sorella - una famiglia, dunque - e una minaccia misteriosa.

Per le copertine successive le scelte sono state più semplici. Il che non significa che poi mettere in pratica queste scelte sia stata una cosa semplice, come Emiliano potrà testimoniarvi...

venerdì 5 giugno 2009

DAVID IL VAGABONDO

Chissà cosa ne sarebbe stato di David Carradine se Questa terra è la mia terra di Hal Ashby - in cui interpretava il leggendario folk singer Woody Guthrie - avesse vinto l’oscar. Forse Carradine sarebbe diventato una star, o comunque uno di quegli attori che star non sono – come Ed Harris, per esempio – ma rimangono comunque carismatici.

Questa terra è la mia terra invece fu ignorato dall’Academy e la carriera di Carradine è andata come sappiamo. Una pletora di film di serie B, e forse anche alcuni di serie Z, un lungo oblio, poi il tentativo generoso di uscire dal tunnel, e infine il ripescaggio ad opera di Tarantino, che sembrava preludere a una grande rentrée: aspettativa puntualmente delusa.

Col senno di poi si può capire che quello del vagabondo Woody Guthrie non solo è stato il ruolo più importante di Carradine – forse il suo unico ruolo da star, nella serie A del cinema – ma ha anche finito per assumere un’inquietante valenza autobiografica.

Pochi ricordano che Carradine ha diretto anche un paio di film. Ebbene, anche i suoi film da regista sono chiaramente debitori nei confronti del personaggio che lo ha reso celebre, quello del monaco vagabondo Kwai Chang Caine di Kung Fu; e, a guardarsi indietro, Kwai Chang era a sua volta debitore di Shane, il Cavaliere (errante) della Valle Solitaria che Carradine interpretò in gioventù in una breve serie western di insolita maturità.

La prima regia di Carradine è California 436 (You & Me), in cui l’attore–regista interpreta un motociclista vagabondo, Zito, che è braccato dalla polizia e finisce per stringere amicizia con una vedova e un bambino. Una storia minimale coi toni di una ballata folk, girata con stile acerbo ma non priva di sincerità. A fianco di David i due fratelli Keith e Robert, e la compagna di allora, Barbara Hershey, conosciuta sul set di America 1929: sterminateli senza pietà (Boxcar Bertha), il primo film di Scorsese. Il film ha circolato, negli ottanta, sugli schermi delle tv private.



La seconda regia (in realtà la prima - il film è stato girato nell'arco di dieci anni) è una pellicola più ambiziosa, Americana, inedita al cinema, recuperata e sottotitolata dalla Rai per le tipiche nottate cinefile: anche Americana è una piccola storia dai dialoghi sommessi e dai lunghi silenzi (un tipico film degli anni settanta, insomma). Carradine è un reduce dal Vietnam, un vagabondo senza fissa dimora che capita in una piccola città, e si impunta nel voler riparare – apparentemente senza alcuno scopo – la giostra di un luna park dismesso. Compiuta la sua missione, il vagabondo riprende il suo cammino.

È esattamente quello che ha fatto Carradine dopo che il film di Ashby sembrava averlo lanciato, oscar o non oscar, nella serie A, procurandogli un ruolo in un film di Bergman, L'uovo del serpente: l’attore ha tirato dritto per la sua strada (quella del cinema “alimentare” più facile, forse senza nemmeno leggere i copioni). E, molti anni dopo, nemmeno il tocco magico di Tarantino, già sperimentato con Travolta, ha funzionato su di lui.

A guardarsi indietro col senno di poi si può vedere quanto il ruolo nel film di Ashby sia stato profetico: nel suo peregrinare disinvolto dalla tivù al cinema definito “d’autore”, da dignitosi B–movie ai più infimi filmacci per le tv via cavo, David Carradine è stato un vagabondo del cinema. Un outsider irrequieto, tormentato, incapace di affezionarsi a ruoli o registi che avrebbero saputo valorizzarlo.

Kill Bill
a parte, forse il suo ultimo ruolo incisivo sul grande schermo è stato quello del fuorilegge Cole Younger nei Cavalieri dalle Lunghe Ombre di Walter Hill. Carradine trasforma il pittoresco, sanguigno bandito, capace di sopravvivere con undici pallottole in corpo, in un personaggio sornione, segnato da un ironico disincanto. Perfino nei momenti più drammatici fa affiorare un amaro sorriso, consapevole che, come canta James Keach sulle note di Ry Cooder, “the victory it goes to the strongest/ and only the strong will survive/ survival is living the longest/ but nobody gets out alive”.

Filmografia consigliata:

Anno 2000: la corsa della morte (Death Race 2000, 1975), di Paul Bartel
California 436 (You and Me, 1975), anche regia
Questa terra è la mia terra (This Land is Your Land, 1976), di Hal Ashby
L’uovo del serpente (The Serpent's Egg, 1977), di Ingmar Bergman
Messaggi da forze sconosciute (The Silent Flute aka Circle of Iron, 1978), di Richard Moore
I cavalieri dalle lunghe ombre (The Long Riders, 1980), di Walter Hill
Q–Il serpente alato (Q- The Winged Serpent, 1982), di Larry Cohen
Una Magnum per McQuade (Lone Wolf McQuade, 1983), di Steve Carver
Americana (id., 1983), anche regia
Kill Bill (id., 2003), di Quentin Tarantino

giovedì 4 giugno 2009

SO LONG, IT'S BEEN GOOD TO KNOW YOU

Addio, è stato bello conoscerti,
queste vecchie terre polverose stanno diventando la mia casa,
devo continuare il mio vagabondaggio.

Woody Guthrie, So Long, It's Been Good to Know You


NEL MONDO ESTERNO

A sei giorni dall'uscita in edicola, segnalo la prima uscita di Caravan nel "mondo esterno": cioè la stampa cartacea tradizionale, quella in cui gli spazi dedicati al fumetto sono rari.

Oggi c'è una lunga intervista al sottoscritto su "Il Secolo d'Italia". Si parla di Caravan, ma anche di altre cose.

L'intervista è leggibile on line nel blog dell'autore, il giornalista Roberto Alfatti Appetiti, a questa pagina.