giovedì 28 maggio 2009

VOCI DALLA FINESTRA

Sono sicuro che se siete lettori “bonelliani” conoscerete un certo tipo di inquadratura che è ancora abbastanza frequente trovare su Tex: due persone stanno parlando dentro una stanza, e a un tratto la nostra immaginaria macchina da presa passa all’esterno e non le vediamo più. Sentiamo le loro voci dalla finestra. Nella vignetta successiva rientriamo dentro la stanza e rivediamo i due che continuano il loro dialogo.

Ecco, vorrei fare outing e dire che odio questa soluzione narrativa, che di narrativo non ha nulla. E anche se molti miei amici e colleghi la usano normalmente, nel solco della tradizione, vorrei che fosse vietata per legge.

Per me una inquadratura del genere - esterno e voci dalla finestra - è ammissibile solo come attacco; cioè quando si comincia una scena. In tal caso è la trasposizione a fumetti dell’establishing shot, l’inquadratura cinematografica che ci informa che stiamo cambiando luogo e tempo dell’azione.

Al cinema l’establishing shot con l’esterno di una casa può essere muto, perché tra una frazione di secondo staccheremo all’interno del luogo e vedremo i personaggi che parlano. Nel fumetto risparmiamo tempo prezioso, e cominciamo a far parlare i personaggi facendo sentire le loro voci. Nella vignetta successiva passeremo all’interno e vedremo chi è che sta parlando.

Questo è un modo corretto (non l’unico, ovviamente) di attaccare una scena.

Ma allora, perché staccare all’esterno nel bel mezzo di un dialogo? Che bisogno c’è? In effetti, non c’è nessun bisogno. Si faceva (si continua a fare) per un eccesso di zelo. Perché si pensa di annoiare il lettore proponendo una tavola intera con due personaggi che parlano, immobili, nello stesso ambiente.

Questo piccolo stratagemma a mio avviso nasconde un pregiudizio un po’ avvilente: presuppone che il lettore non regga una scena statica con due personaggi che stanno seduti a parlare per sei vignette. Il che, a sua volta, presuppone che uno sceneggiatore non sia capace di rendere un dialogo interessante per la durata di sei vignette. (Un po’ come se l’autore avesse un pregiudizio nei confronti di se stesso: ammetterete che la cosa è inquietante…)

Mi si dirà che ci possono essere scene di dialogo che durano più di di una tavola, e una vignetta di stacco ci vuole. Non mi convince: se il dialogo è noioso, non sarà una singola vignetta di “voci dalla finestra” a tenere desta l’attenzione del lettore, no?

Essendo il sottoscritto uno sceneggiatore che – come mi rimprovera spesso Antonio Serra – è tragicamente portato a riempire i balloon, posso affermare tranquillamente che un dialogo può essere ravvivato in molti modi: con un uso espressivo della punteggiatura, con le inquadrature, o facendo muovere i personaggi (che mentre parlano possono fumare, bere, gesticolare, giocherellare con una matita, etc.). Sicuramente, un dialogo inerte che si svolge dentro una stanza non si ravviva con uno stacco all’esterno della stanza.

Ci può essere però un ulteriore motivo per uno stacco all’esterno del bel mezzo di una scena. Ed è il motivo per cui può darsi che troviate le “voci dalla finestra” anche in qualcuna delle mie storie: può succedere che ad adottare questa inquadratura sia il disegnatore. O perché si è stancato di disegnare “teste parlanti” (per quanto brillante sia il dialogo), o per un fatto puramente grafico, di composizione della tavola.

Sia come sia, ecco, ora l’ho detto: se trovate “voci dalla finestra” in mezzo a uno dei miei dialoghi sappiate che io non c’entro niente.

lunedì 25 maggio 2009

SI RIPARLA DI X-CAMPUS



Okay… ammetto che non c’entra con Caravan, e dovrei segnalarlo sul sito, non sul blog. Ma dato che ora il sito è in stand by, lo metto qui.

Perché, sapete, sono particolarmente orgoglioso di essermi cimentato con le avventure gli X-Men. E di avere fatto un fumetto-fumetto, una storia di avventura e di amicizia, una storia di ragazzi e per ragazzi.

Di X–Campus, sceneggiato dal sottoscritto col grande Francesco Artibani e disegnato da Denis Medri e da un plotone di valenti disegnatori, qualcuno aveva già parlato bene qui.

Ora se ne riparla bene altrove, cioè nel sito inglese Mass Movement. Traduco:

“Considerato il titolo, la copertina, e l’esile riassuntino che decora il retro del volume di X–Campus, sarebbe facile liquidarlo come un “Marvel 90210” o “Gli X–Men a Hollyoaks (celebre soap opera inglese, ndt)” e non dedicarci un pensiero in più. Ma qualunque cosa facciate – per l’amor di Zio –non cedete a quell’impulso, perché qualcosa di speciale che si annida tra le pagine di X–Campus. Ma certo, è l’ennesima reinvenzione degli X–Men (o ri–creazione, vedete un po’ voi) e per la maggior parte di voi è l’equivalente di “tiro e sbaglio – parte seconda”; ma, a differenza degli innumerevoli episodi “alternate” degli X–Men che ci hanno spiattellato in tanti anni, X–Campus è in realtà maledettamente buono; e, per quel che vale il mio pensiero, è secondo solo agli episodi di Whedon sulla collana Astonishing. Sia la storia che la caratterizzazione sono realizzate e intrecciate in maniera brillante, mettendo insieme tutti i mutanti (buoni e cattivi) che conosciamo e amiamo, inserendoli in un contesto diverso e ciononostante assai familiare. La scuola per i talenti diventa la Worthington Academy, con gli X–Men liceali più che universitari. Forse l’idea non è nuova né totalmente originale, ma il ritmo e le modalità della battaglia tra Magneto e il Professor X per conquistare i cuori e le menti dei giovani mutanti sono sinceramente avvincenti. Una volta entrati nel vivo della lettura troverete pressoché impossibile smettere finché non sarete arrivati all’ultima pagina. E la cosa migliore di tutte è il modo in cui Artibani e Medda hanno ri–creato Cerebro e Le Sentinelle, che da soli valgono tanto oro quanto pesano e il prezzo del volume. La mia sola perplessità è che, benché non sia un problema per il sottoscritto (per via della sua passione per Tin Tin e Asterix), quella nota “europea”, quel feeling catturato in ogni vignetta dal disegno (che è vivace, brillante e, come la storia richiede, diverso da ogni disegno degli X–Men visto prima; ricco di colore, vivo, vibrante e cattura alla perfezione la giovinezza e l’energia dei personaggi) e alcune delle sottotrame e dei temi della storia; il che fa sì che il volume lasci trapelare una sensibilità e una visione diverse (nel bene, non nel male) dal solito X–racconto. Se cercate qualcosa di insolito e che vi lasci alla fine felici e contenti e ansiosi di leggere ancora, allora passate un pomeriggio o due dentro l’X–Campus. Potrebbe valerne la pena…”

Tim Mass Movement

PS: benché realizzato interamente in Italia a cura della Panini, X-Campus non è ancora stato pubblicato in italiano. Al momento è disponibile solo l'edizione inglese del trade-paperback che racchiude tutti gli otto episodi della serie.

BACK FROM CREMONA

Ha detto che doveva andare via presto perché doveva prendere la bambina dai nonni, e così è partita da Cremona subito dopo pranzo, mancando l’appuntamento con la presentazione di Caravan. Quella della bambina era una scusa, ovviamente. Il piano diabolico di Paola Barbato era bruciarmi sul tempo e precipitarsi ad aggiornare il blog con le foto della sua premiazione a Reggio Emilia e con quella dell’incontro a Cremona.

Beh, allora una foto la metto anch’io.


Potete vedere Paola e Angelo Stano che firmano autografi subito dopo l’incontro, moderato dall’infaticabile Michele Ginevra, dedicato al tema “il fumetto bonelliano tra tradizione e innovazione”. Ne è uscita fuori una chiacchierata a trecentosessanta gradi sul mestiere del fumettaro, ricca di aneddoti e dietro le quinte, e in un ambiente quanto mai consono alla circostanza: nell’austera sala Borsa della Camera di Commercio avevamo alle spalle una monumentale xilografia del maestro Sergio Tarquinio (che ho avuto il piacere di conoscere di persona).

Peccato per l’assenza di Roberto “Rrobe” Recchioni. Rimettiti in sesto, Roberto. Mi sono dimenticato di parlare male dei tuoi registi horror preferiti, ma abbi pazienza: lo scontro è solo rimandato.

Tutto liscio anche con la presentazione di Caravan (moderata da Marco Cottarelli) anche se ho dovuto fare un po’ di slalom tra domande molto precise per non rivelare troppo. In ogni modo mancano solo due settimane all’uscita del numero 1, e presto molte curiosità saranno soddisfatte.

Un sincero grazie per la bella giornata al Centro Andrea Pazienza e un saluto ai giovani autori presenti: Paola Cannatella, Marco Morandi, Alessandro Fusari, Francesca Follini e tutti gli altri. E in bocca al lupo per i vostri progetti, ragazzi.

venerdì 22 maggio 2009

CREMONA DOUBLE FEATURE

Dunque, doveva andare così: io dovevo andare a Cremona, domenica, solo per presentare Caravan. Avevo anche detto che avrei fatto un salto all'incontro Barbato-Recchioni-Stano, ma da spettatore. In pratica, avevo progettato di stare seduto in prima fila e aspettare che Roberto parlasse bene dei videogiochi, per poi emettere sonori tsk! tsk! e sbuffi spazientiti, scuotendo vigorosamente la testa. Mi ero preparato anche una domanda pepata che prevedeva espressioni di disgusto nei confronti dei film di Eli Roth e Rob Zombie.

Tutto ciò presupponeva però la mia presenza tra il pubblico. Senonché il Rrobe, come sapete se avete letto qui, ha dato forfait. E indovinate chi prenderà il suo posto dietro il tavolo, tra uno Stano e una Barbato...

Bene. Siete avvisati: alle ore 11 parleremo del fumetto bonelliano tra tradizione e innovazione. Non sono ammesse domande sui videogiochi.

Alle ore 15 presenterò Caravan. E può darsi che Paola e Angelo siedano in prima fila a fare tsk! tsk! quando parlerò male dei videogiochi. O di Hostel.

Ci vediamo domenica.

martedì 19 maggio 2009

REPETITA IUVANT: APPUNTAMENTO A CREMONA

OK, ripeto per i distratti e per i nuovi arrivati...

Appuntamento per domenica 24 maggio a Cremona: presenterò Caravan nell'ambito della manifestazione Nuvole(tte).

L'incontro è previsto per le 15,30.

Non escludo di fare un salto anche all’incontro delle 11 con gli amici e colleghi dylandoghiani Paola Barbato, Roberto Recchioni e Angelo Stano, che parleranno del fumetto popolare “tra tradizione e innovazione”.

Naturalmente la manifestazione non è tutta qui, anzi...

tutti i dettagli nel sito del dinamico Centro Andrea Pazienza, che ha organizzato l'evento.

See you there!

lunedì 18 maggio 2009

L’UOMO CHE GUARDAVA LONTANO



Ho già detto che in un certo senso Caravan ha un precedente nella storia del fumetto bonelliano: nel 1967 La Storia del West di Gino D’Antonio presentava un fumetto che non aveva un protagonista fisso, ma raccontava la storia di una famiglia (i MacDonald) nell’arco di quasi un secolo.

Sto rileggendo la serie in quella che può essere considerata l’edizione “definitiva” uscita a metà degli anni ottanta, che comprende alcune integrazioni realizzate da D’Antonio (con i disegni di Renato Polese). E, a parte il piacere di leggere storie avvincenti e dense, colpisce la forza dell’ispirazione che aveva sorretto D’Antonio in un’impresa, mi pare, tutt’oggi ineguagliata.

A metà degli anni sessanta, in Italia, il fumetto era ancora “roba da bambini”. E se lo si voleva considerare da un punto di vista adulto, lo si considerava comunque intrattenimento. Non era ancora stata inventata la dicotomia “fumetto popolare” e “fumetto d’autore” per distinguere, sia pure goffamente, un fumetto–intrattenimento e un fumetto con aspirazioni artistiche. Il fumetto era popolare intrinsecamente, realizzato in fretta per essere consumato in fretta e senza stare a pensarci troppo. La documentazione era considerata un lusso, in un’epoca in cui le pubblicazioni a fumetti erano quindicinali e addirittura settimanali. E comunque, vendevano centinaia di migliaia di copie.

Ma a Gino D’Antonio questo non bastava. Insieme a Renzo Calegari (il cui impegno però si limitò alla fase iniziale) concepì un’opera che doveva restituire al selvaggio West la sua verosimiglianza, e che gli permettesse di essere lo specchio del nostro tempo. E che facesse tutto questo lasciando intatto il fascino dell’Avventura.

Alla fine, il risultato della Storia del West sarebbe stato un lavoro titanico di circa 7.000 pagine a fumetti, una cavalcata lunga tredici anni (la serie, pubblicata a scadenze irregolari all’interno della collana Rodeo, terminò nel 1980). Non so se e quanto all’epoca gli autori se ne rendessero conto.

Quello che è certo è che D’Antonio si era posto un obiettivo a dir poco ambizioso. Un obiettivo che presumeva, oltre a una capacità quasi sovrumana di disciplinare la propria creatività, una fede incrollabile nelle possibilità del medium fumetto, dei lettori, e infine dell’editore (o meglio dell’editrice, che all’epoca era la signora Tea Bonelli).

E non era certo un nerd, Gino D’Antonio, né un nevrotico intellettuale. Non so nemmeno se parlando di sé si definisse un artista. In un'intervista definì i suoi studi “disordinati” e disse: “Ho provato varie cose: il liceo Classico, lo Scientifico, ma non li ho portati a termine. Non ho fatto studi artistici, anche perché non ci pensavo minimamente”.

Gino D’Antonio, semplicemente, era uno che guardava lontano.

Due brevi considerazioni, per concludere. La prima è che lo stesso 1967 in cui D’Antonio iniziava La Storia del West vedeva la pubblicazione di un’altra opera seminale per il fumetto italiano (e non solo): Una ballata del mare salato. Hugo Pratt e Gino D’Antonio erano coetanei, nati entrambi nel 1927.

La seconda è che oggi non solo sarebbe difficile realizzare un’opera simile, sarebbe difficile già concepirla. Perché non avresti la garanzia di pubblicarla. Negli anni sessanta, Tea Bonelli accettò di pubblicare la serie a scadenze irregolari. (In pratica, appena un albo era pronto veniva inserito nella Collana Rodeo, che alternava le uscite della Storia del West con la ristampa di vecchio materiale o con albi autoconclusivi). E negli anni ottanta Sergio Bonelli ristampò la serie in una nuova veste grafica, permettendo a D’Antonio di integrarla con nuovi episodi e redazionali.

Sono sicuro che oggi ci sono ancora autori che, come Gino D’Antonio, guardano lontano. Non sono sicuro che ci siano altrettanti editori.

PS. L’intervista sopra citata, a cura di Antonio Galati e Franco Spiritelli, è stata pubblicata su Fumo di China n. 50, aprile 1997.

Per chi volesse sapere tutto su La Storia del West, nel sito di uBC è presente un’ampia sezione dedicata alla serie.

venerdì 15 maggio 2009

SCELTE

Mi hanno chiesto “come si fa a scegliere l’impostazione di un numero 1? Il primo numero di una serie è sempre delicato, è fondamentale…”

Premesso che scrivere Il cielo su Nest Point non è stato esattamente una passeggiata, non posso dire nemmeno che sia stato come scalare una montagna a mani nude (e posso tranquillamente affermare che certe sceneggiature di Nathan Never mi sono costate molta più fatica).

Raccontare significa sempre scegliere, a ogni passo. Qualunque cosa tu scriva. Se scrivi un fumetto, devi fare una scelta per ogni vignetta, letteralmente. Anche un dialogo fatto di due battute, un semplice botta e risposta, comporta una scelta fra diverse possibilità.

A dirlo così suona un po’ banale. E forse lo è. Ma provate a farlo, e la cosa non vi sembrerà così banale.

Supponiamo di avere un dialogo tra due personaggi, Dan e Jenny. I due sono amici e stanno viaggiando in auto. Bene, dobbiamo far dire a Dan lui e la sua ragazza, Sandy, si sono lasciati. Per non farglielo dire ex abrupto e rendere la cosa in qualche modo “naturale” lo faremo sollecitare da Jenny con una battuta.

JENNY: Hai una faccia… c’è qualcosa che non va? Con me puoi parlare, lo sai.

E a quel punto Dan risponde...

DAN: Vuoi proprio saperlo? Beh, oggi Sandy e io ci siamo lasciati. È finita.

Come vedete, niente di speciale né di troppo complicato. Eppure, è una scena che ci dà almeno quattro possibilità di svolgimento, di diversa lunghezza e con diverse sfumature: A, B, C, D.

Sceneggiatura A:

Vignetta 1) Interno auto, ravvicinata sui due, inquadratura laterale in modo da avere Dan in primo piano per noi, al volante, e Jenny in secondo piano. Jenny si volta verso Dan, lo guarda inarcando un sopracciglio. Dan ha un’aria seria, tiene lo sguardo fisso sulla strada.

JENNY: Hai una faccia… c’è qualcosa che non va? Con me puoi parlare, lo sai.

DAN: Vuoi proprio saperlo? Beh… oggi Sandy e io ci siamo lasciati. È finita.

Messo così, in una sola vignetta, il dialogo ci dice soltanto – aldilà dell’informazione oggettiva della rottura tra Dan e Sandy – che Jenny e Dan sono amici, e c’è un rapporto di confidenza tra i due. E che Dan non è ovviamente contento della rottura, ma non appare esattamente traumatizzato. Se la scena non deve avere un grande peso nel racconto, questa è la soluzione più semplice ed economica.

Se però scindiamo il dialogo in due vignette la sostanza resta uguale, ma il senso della scena cambia. Vediamo come.

Sceneggiatura B:

Vignetta 1) Interno auto, ravvicinata sui due, inquadratura laterale in modo da avere Dan in primo piano per noi, al volante, e Jenny in secondo piano. Jenny si volta verso Dan, lo guarda inarcando un sopracciglio. Dan ha un’aria seria, tiene lo sguardo fisso sulla strada.

JENNY: Hai una faccia… c’è qualcosa che non va? Con me puoi parlare, lo sai…

DAN: Vuoi proprio saperlo? Beh…

Vignetta 2) Soggettiva di Jenny: PP di Dan che si volta leggermente verso di noi, distogliendo per un attimo gli occhi dalla strada (senza conseguenze: li facciamo viaggiare su un rettilineo!). Ha un’espressione cupa, che noi possiamo accentuare disegnando forti ombre sul suo volto.

DAN: oggi Sandy e io ci siamo lasciati. È finita.

In questo modo, “staccando” la battuta di Dan dalla vignetta precedente e porgendola al lettore con un primo piano, mettiamo l’accento sui sentimenti di Dan, diciamo al lettore che questa separazione ha profondamente ferito il ragazzo.

E ora vediamo la terza soluzione: aggiungendo ancora una vignetta e dividendo la scena in tre strisce orizzontali diamo a questo dialogo una sfumatura ancora diversa e più ambigua.

Sceneggiatura C:

Vignetta 1–2 (striscia) Interno auto, ravvicinata sui due, inquadratura laterale in modo da avere Dan in primo piano per noi, al volante, e Jenny in secondo piano. Jenny si volta verso Dan, lo guarda inarcando un sopracciglio. Dan ha un’aria seria, tiene lo sguardo fisso sulla strada.

JENNY: Hai una faccia… c’è qualcosa che non va? Con me puoi parlare, lo sai…

DAN: Vuoi proprio saperlo? Beh…

Vignetta 3–4 (striscia) Stacchiamo all’esterno dell’auto, in campo medio, quel tanto che basta da distinguere appena Jenny e Dan all’interno (saranno praticamente due silhouettes), o possiamo anche non vederli affatto. Voce di Dan dall’auto.

VOCE DAN: oggi Sandy e io ci siamo lasciati.

Vignetta 5–6 (striscia). Allarghiamo il campo, possiamo carrellare all’indietro o anche “a salire” tipo dolly, facendo apparire l’auto che si allontana da noi come poco più che un puntino sulla highway che taglia la pianura. Dall’auto, ancora la voce di Dan.

VOCE DAN: è finita.

Il fatto di allontanarci “fisicamente” dall’auto, evitando di mostrare l’espressione di Dan, può suggerire due cose. Mostrando il personaggio come “schiacciato” dal paesaggio possiamo suggerire al lettore il suo annientamento. “È finita”, non rimane altro. La tavola potrebbe essere la sequenza finale della storia. Ma in altro contesto – per esempio se abbiamo mostrato precedentemente un’attrazione di Jenny per Dan (o viceversa) – la sequenza può suggerire una certa ambiguità dei sentimenti di Dan. Il fatto di essersi lasciato con Sandy potrebbe dargli il via libera con Jenny. O potrebbe dare il via libera a Jenny.

Se ci interessa quest’ultima situazione possiamo renderla in maniera molto esplicita, incentrando la sequenza su Jenny, cambiando l’inquadratura e (di pochissimo) il dialogo. Non è una soluzione molto elegante, ma narrativamente fa il suo sporco lavoro.

Sceneggiatura D:

Vignetta 1–2 (striscia): frontale su Jenny e Dan, che è al volante (inquadriamo dal parabrezza, praticamente). Dan ha un’espressione cupa. Jenny, con aria annoiata, guarda fuori dal finestrino. Sembra irritata dal “muso” di Dan.

JENNY: Hai una faccia… si può sapere cosa c’è che non va?

Vignetta 2) PP di Dan, frontale: parla senza cambiare espressione, sempre scuro in volto.

DAN: Vuoi proprio saperlo?

Vignetta 3: PP di Jenny, che inarca le sopracciglia stupita e guarda verso Dan con la coda dell’occhio. Da FC alla nostra destra la voce di Dan.

DAN (da FC): Sandy e io ci siamo lasciati.

Vignetta 4: Zoomiamo fino a un PPP – occhi e naso – di Jenny col sopracciglio inarcato.

DAN (da FC): È finita.

Anche il più ottuso dei lettori, a questo punto, avrà capito che Jenny è molto interessata alla notizia di questo “sfidanzamento”.

Possono ovviamente esserci altre possibilità. Se c’è tra voi qualche aspirante sceneggiatore può usare l’esercizio come compito a casa.

Si tratta sempre di scegliere, come disse anche Bob Dylan a un giornalista che gli chiedeva come facesse, con quel repertorio sterminato, a stabilire la scaletta delle canzoni per ogni concerto. His Bobness, che Dio lo benedica, rispose semplicemente: “Le scelgo.”

PS (post editato): gli esempi qua sopra fanno riferimento a un dialogo inventato per l'occasione, che non fa parte di Caravan né di altre sceneggiature. Non esiste, ovviamente, una soluzione "giusta". Esiste quella più opportuna per la storia che volete raccontare.

mercoledì 13 maggio 2009

IL CIELO SU NEST POINT

Nel sito Bonelli, prima scheda "ufficiale" di Caravan, cioè quella del numero 1, Il cielo su Nest Point.

L'appuntamento in edicola è per il 10 giugno. Ricapitolo a beneficio dei distratti: 12 uscite mensili, prezzo € 2,70 !

PARTENDO DA NEST POINT

Nest Point, la cittadina da cui parte l’avventura di Caravan, non esiste. E al momento in cui l’ho “battezzata”, tre anni fa, non sapevo che una Nest Point esistesse (le mie ricerche su Google non avevano dato esito). Invece c’è: non è una città, ma una punta rocciosa nell’isola di Skye, in Scozia. Potete vederne una splendida foto su Flickr, qui.

Quanto alla “nostra” Nest Point, sono stato molto attento a non darle una collocazione geografica precisa. Mi sono limitato a metterla su una costa (mi piaceva l’idea di far disegnare a Roberto De Angelis il mare e un piccolo porto), senza specificare lo Stato.


Fare altrimenti avrebbe significato uscire dalla strada della verosimiglianza per andare a sbattere contro il muro della realtà. Avrei dovuto specificare su quale strada viaggiava la carovana, rappresentare esattamente il tipo di paesaggio, tenere conto delle distanze effettive, degli incroci e via dicendo. Un’impresa impossibile (o forse possibile… con dieci anni di tempo a disposizione).

La Nest Point di Caravan è frutto di un collage di foto di diverse cittadine americane, sapientemente rielaborate da Roberto e da Stefano Raffaele.

E lo stesso vale per le varie cittadine che vedrete raffigurate più avanti nella serie, oltretutto con scene in epoche diverse, il che ha comportato una ricerca di automobili dell’epoca e di una notevole quantità di interni ed esterni. (Per una vignetta il bravo Michele Benevento è andato a ricercarsi la copertina di una rivista del 1992, ma tengo a precisare che non gli ho chiesto io questa meticolosità kubrickiana).

Comunque, visto il lavoro dei disegnatori, mi permetto di essere ottimista. Confido che al nostro occhio di europei l’ambientazione di Caravan risulti efficace. Quanto a eventuali lettori americani, mi limito a sperare che possano trovarla accettabile, o quantomeno non ridicola.

Se non avete mai pensato a come un paese possa sembrare diverso nella rappresentazione fatta da uno straniero (pur documentato e benintenzionato) guardatevi la Sicilia di Francis Ford Coppola nel suo capolavoro Il Padrino e ditemi se assomiglia alla Sicilia che conoscete. O, mi vengono i brividi solo a ripensarci, guardate la Sicilia ricostruita da Michael Cimino nel film Il siciliano.

In ogni modo, tutto ciò era per dirvi che nella realizzazione di una serie “realistica” come Caravan la ricerca della documentazione richiede il suo tempo. Che non è poco. E non è mai sufficiente.

Potreste pensare che internet abbia semplificato il lavoro di ricerca rispetto al passato. Ed è vero, ma solo in parte. Anche se oggi, come si dice, “tutto è a portata di click”, il problema è che sulle centinaia di pagine che ti propone Google quel click non è mai il primo.

Ogni tanto è bene ribadirlo: in un’epoca in cui qualsiasi processo produttivo è il frutto di una combinazione di specializzazioni (pensate alle strutture produttive “a monte” dei videogiochi più sofisticati), fare fumetti è ancora un lavoro artigianale.

E fateci caso: per commentare un fumetto – nel bene e nel male – si parla di “regia” delle scene. Ma dietro un fumetto c’è molto più che “regia”. Non siamo solo gli sceneggiatori e i registi delle nostre storie, perché ci facciamo carico anche della parte non strettamente creativa: siamo i location scouts, siamo gli scenografi, siamo i costumisti, oggi come cinquant’anni fa.

domenica 10 maggio 2009

TRA IL DIRE E NON DIRE

Mentre manca un mese all’uscita in edicola, Caravan è stata presentata a Torino Comics. A parte la mini–intervista “in famiglia” che compare sul sito della SBE, ho già rilasciato una intervista a uBC, una al sito Metronews e l’altra alla rivista Scuola di Fumetto.

Domenica 24 maggio presenterò Caravan alla manifestazione Nuvolette, a Cremona. E se ci sarà tra il pubblico qualcuno che ha già letto almeno una delle interviste suddette, non mi sentirà dire niente di nuovo, inevitabilmente.

Ho cercato di dire il minimo indispensabile per orientare i lettori senza rivelare troppo. O quantomeno, di fare in modo che chi legge le anticipazioni non si crei false aspettative. Spero di avere chiarito che chi leggerà Caravan non deve aspettarsi un susseguirsi frenetico di sparatorie, inseguimenti e duelli all’ultimo sangue. E spero che le copertine siano esplicite in questo senso. Proprio in una precedente intervista a Scuola di Fumetto, più di un anno fa, avevo detto che la serie non avrebbe avuto pistole in copertina.

Intendiamoci, avremmo potuto tranquillamente inserirle, le pistole, e la scelta sarebbe stata del tutto legittima: perché in Caravan le armi compaiono e a volte fanno fuoco, con tutte le inevitabili conseguenze. Tuttavia, i protagonisti di Caravan sono persone normali costretti ad affrontare circostanze straordinarie, ed essendo persone normali non le affrontano necessariamente con la pistola in mano.

A chi, avendo letto i primi albi, mi ha espresso perplessità per il tasso poco elevato di sparatorie, agguati e duelli, ho risposto che ho fiducia nei lettori. Non credo che l’appeal di una serie cresca proporzionalmente al numero dei colpi sparati dai protagonisti.

Siete avvisati: se volete leggere di psicopatici, killer professionisti, poliziotti bastardi, malavitosi figaccioni, assassine ninja con la katana, Caravan non è la serie che fa per voi.

Dopo quindici lunghi anni di spazzatura tarantiniana, non ne posso più di questa roba. E se qualcuno mi viene a parlare di nuàv (il geneve più celebvato nei salotti buoni della lettevatuva), la katana la userò su di lui.

venerdì 8 maggio 2009

LA CAROVANA FA TAPPA A CREMONA

Domenica 24 maggio sarò a Cremona alla manifestazione Nuvole(tte), organizzata dal Centro Andrea Pazienza.

Presenterò Caravan alle ore 15,30, spero con la collaborazione del dinamico Fabio Valdambrini, che non ha ancora confermato la sua presenza.

Con ogni probabilità riuscirò a essere presente anche all’incontro delle 11 con gli amici e colleghi dylandoghiani Paola Barbato, Roberto Recchioni e Angelo Stano, che parleranno del fumetto popolare “tra tradizione e innovazione”.

See you there!

giovedì 7 maggio 2009

STEINBECK


POST EDITATO

Se Seeds di Springsteen è stato lo spunto materiale per l’idea di Caravan, credo che Furore (The Grapes of Wrath) di John Steinbeck sia stata l’ispirazione a livello inconscio, dato che racconta di una famiglia in viaggio. È un romanzo che amo, l’ho letto per la prima volta da ragazzino e in seguito l’ho riletto più volte. D’altronde, Furore è stato di ispirazione anche per Springsteen, e quindi i conti tornano.

Non metto qui il video della ballad The Ghost of Tom Joad di Springsteen, già famosissima, e vi invito a scoprire invece l’album Dust and Dreams (1991). L’autore è il gruppo inglese dei Camel, forgiatosi nella vivacissima fucina di Canterbury. (Negli anni settanta il gruppo si avvalse anche della collaborazione di Richard Sinclair, fondatore – eh, già – dei Caravan). Dust and Dreams è dichiaratamente ispirato al romanzo di Steinbeck, per quanto musicalmente sia su tutt’altro versante rispetto al folk americano.



Il film tratto da Furore – realizzato nel 1940, appena un anno dopo l’uscita del libro – è ugualmente un capolavoro. D’altronde, i credits dicono tutto: diretto da John Ford, scritto da Nunnally Johnson, fotografato da Gregg Toland (quello di Quarto potere) e interpretato da Henry Fonda, John Carradine e Jane Darwell (vincitrice dell’oscar per la sua interpretazione di mamma Joad). Il film riserva un piccolo mistero: la versione proposta su DVD non si conclude con la fuga di Tom come l’edizione cinematografica che passa in tivù, ma con un finale “ottimistico” (non doppiato in italiano, ma soltanto sottotitolato): la famiglia Joad riparte verso Fresno, dove un annuncio promette “venti giorni di lavoro”, e mamma Joad esorta tutti a tenere duro. Personalmente preferisco il “vecchio” finale, con Tom che scompare sul profilo delle colline sulle note di Red River Valley. (Considerate che il finale del romanzo, per ovvi motivi di censura, non poteva essere proposto nel 1940). In ogni caso, qualunque sia il finale che presenta, il film è semplicemente Storia del Cinema. Se non l’avete visto, vi consiglio caldamente di non farvelo scappare.



Oltretutto, John Steinbeck ha avuto con il cinema un rapporto piuttosto intenso. Digitate “Steinbeck” su IMDB e scoprirete che la filmografia steinbeckiana conta più di una trentina di film, di cui alcuni firmati anche come sceneggiatore (tra cui il Viva Zapata! di Elia Kazan con Marlon Brando). Perfino Hitchcock ha tratto un film da un suo racconto, Prigionieri dell’oceano (Lifeboat).

Approfitto dell’occasione per citare un altro romanzo di Steinbeck, un altro dei miei romanzi (brevi) preferiti: Uomini e topi (Of Men and Mice), una tragica e struggente storia di amicizia tra due vagabondi che condividono il sogno di una fattoria. Nel 1992 Gary Sinise ne ha diretto e interpretato (a fianco di John Malkovich) un buon adattamento, sceneggiato da Horton Foote, apprezzato autore teatrale nonché sceneggiatore del Buio oltre la siepe.




Ultima annotazione: alla fine un legame diretto tra John Steinbeck e Caravan in un certo senso c’è, ed è proprio… un caravan. O meglio, un camper. Quello che lo scrittore ha condiviso con il barboncino Charley e raccontato nel libro In viaggio con Charley: il suo ultimo libro pubblicato in vita, l’ultima meta del suo viaggio terreno.



“Non sono le persone che fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”
John Steinbeck

mercoledì 6 maggio 2009

CARAVAN SUL SITO SBE

Aggiornamento del sito della Sergio Bonelli Editore con nuove tavole di Caravan in anteprima e finalmente, in tutto il suo splendore, la cover definitiva del numero 1, by Emiliano Mammucari. In più, mini-intervista al sottoscritto. Trovate tutto su questa pagina.

martedì 5 maggio 2009

EENY MEENY MINY MOE...

Fare la conta può essere un modo per scegliere i disegnatori di una serie? O semplicemente si scelgono i più bravi sulla piazza? Nella pratica quotidiana la risposta si trova in un punto, non necessariamente equidistante e stabile, tra questi due estremi.

Confesso che mentre preparavo Caravan mi sono trastullato con l’idea di osare l’inosabile e scegliere dodici disegnatori con stili diversi tra di loro come il giorno dalla notte. Se conoscete una qualsiasi serie americana (un esempio a caso: Hellblazer) capirete cosa intendo.

Non ci ho messo molto a rendermi conto che sarebbe stata una scelta assurda per una serie di taglio realistico, basata sui personaggi (o character–driven, come dicono gli americani) e strettamente “in continuity”. John Constantine può cambiare faccia di albo in albo; i lettori americani lo accettano tranquillamente. Per quanto mi riguarda, avere un Massimo Donati con le orecchie a sventola nel primo albo e col naso da pugile nel secondo avrebbe disturbato me come i lettori.

Le caratteristiche della serie, comunque, richiedevano uno stile realistico/tradizionale. E questo ci ha consentito di affidare il primo albo a una guest star del calibro di Roberto De Angelis, che è una garanzia. Roberto non è solo un “bravo disegnatore” nel comune senso del termine (beh, “bravo” forse è riduttivo), ma ha un segno dinamico e immediato che mette d’accordo tutti.

Il secondo passo è stato cercare chi poteva avere i requisiti richiesti tra i disegnatori liberi in quel momento (o che si sarebbero trovati liberi a breve scadenza). E questo è stato facile.

Il terzo passo è stato il più difficile: cercare disegnatori al di fuori della casa editrice. Mossa quantomai rischiosa e complicata. Dar lavoro ai giovani è cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di incognite. Ti trovi davanti un ragazzo simpatico, con un portfolio che trabocca di disegni e di speranze. Ovviamente vorresti aiutarlo. E sei mesi dopo ti trovi infognato con disegni impubblicabili e una vagonata di dialoghi da ritoccare per adattarli ai disegni.

Come si fa a valutare un disegnatore “esterno”? Gli facciamo realizzare quattro–cinque tavole di prova. Se sono soddisfacenti, bene. Se non lo sono, grazie e arrivederci. Ora, qui c’è un problema: Avete presente Gil Grissom quando dice che “le prove non mentono”? Ecco, non è vero: nel nostro caso le prove possono mentire, eccome. Abbiamo visto disegnatori realizzare ottime tavole di prova e poi “afflosciarsi” man mano che procedevano con la storia, perché la lunghezza (94 tavole sono tante) li stroncava. Oppure, arrivati a metà storia, si può scoprire che il disegnatore a suo agio nel rappresentare cavalli e praterie non riesce a disegnare un’automobile nemmeno ricalcandola. O che il ragazzo, per carità, per essere bravo è bravo, ma è lento come una lumaca in salita e rischia di consegnare tavola 94 nel 2018.

Insomma: nel nostro lavoro, le prove – specie quelle degli absolute beginners – provano poco. L’unica prova vera del valore di un disegnatore è il lavoro già pubblicato.

Ecco perché per Caravan abbiamo cercato una sorta di mediazione, affiancando a navigati professionisti autori giovani sì, ma non esordienti assoluti. Siamo soddisfatti del risultato ma, come sempre, ai lettori l’ultima parola.

sabato 2 maggio 2009

CARAVAN su SdF

E' in edicola il numero 67 di Scuola di Fumetto, presentato al Comicon di Napoli, che contiene un ampio articolo-anteprima dedicato a Caravan.

ASSENTE GIUSTIFICATO

Stefano Casini e io, insieme, abbiamo realizzato un mucchio di lavori che non stiamo qui a ricapitolare. E avremmo collaborato anche su Caravan, se all’epoca Stefano non fosse impegnato con la sua splendida Hasta la victoria!, di cui le Editions Mosquito hanno appena pubblicato in Francia il quarto e ultimo episodio. In Italia la serie è pubblicata da Grifo Edizioni, ed è arrivata al terzo volume. Permettete un consiglio, assolutamente disinteressato? Non perdetevela. E la prossima volta io e Stefano vedremo di far coincidere i nostri impegni…

PERSONAGGI

Al momento di iniziare Caravan ho deciso che i protagonisti, non essendo eroi ma persone comuni, dovevano avere il fisico e il volto di persone comuni. Il che comportava un problema di ordine pratico. Perché un volto “da eroe” (mandibola forte, naso diritto, capelli folti e sempre in ordine o viceversa sapientemente arruffati) di solito è riproducibile da parte di ogni disegnatore, a prescindere dal segno e dall’abilità di ciascuno. Notare che ho detto “di solito”: in pratica questa riproducibilità dipende sia dall’abilità di chi imposta graficamente il personaggio, sia da quella di chi lo interpreta successivamente. Non sempre è una passeggiata. Ma con un volto comune le cose sono ancora più difficili. Se eliminiamo quei tratti marcati che siamo soliti attribuire all’eroe, rendere quel volto riproducibile può diventare un serio problema.

Per questo mi sono affidato a Elena Pianta. Elena ha la sensibilità giusta per questo tipo di caratterizzazioni, e ha fatto un gran bel lavoro.

Massimo ha un viso molto regolare, con la mandibola arrotondata.



Davide ha un volto decisamente "mediterraneo".



Stephanie, lungi dall’essere la tipica bellona “da fumetto” (cioè la playmate sogno di ogni adolescente), è “solo” una bella signora.



Jolene ha un viso particolare, con una mandibola spigolosa da “tough girl” che fa un curioso contrasto con gli occhioni scuri. Dato che sua madre Carrie ha un viso ovale, dobbiamo supporre che la ragazzina abbia preso da suo padre.



Carrie è stato l’unico personaggio che ha creato problemi ai disegnatori. Nelle mie intenzioni doveva essere ispirata a Courtney Love, ed Elena l’aveva disegnata prendendo a modello la cantante/attrice. Ma ci siamo resi subito conto che disegnata da qualsiasi altra mano, con i capelli stopposi e le “zampe di gallina” intorno agli occhi, Carrie sembrava Maga Magò.



A questo punto ho chiesto a Elena di fare Carrie bruna e di lisciarle i capelli. Ma anche questo non bastava. Da un lato c’era l’esigenza di mostrare i segni di una vita “rock” su Carrie. Carrie ha la stessa età di Stephanie, ma i suoi anni non li porta così bene. Il problema continuava a sussistere: una volta “in scena”, sulle tavole degli albi, anche con i capelli più corti e in ordine Carrie continuava a dimostrare più di cinquant’anni (portati malissimo). Confesso che a questo punto avevo quasi deciso di fare il furbo, e di far ridisegnare Carrie come una bellona. Mi ha soccorso Stefano Raffaele, dando vita a una Carrie credibilissima, così come l’aveva caratterizzata Elena: una quarantenne con un paio di chili di troppo e qualche ruga ben visibile, conseguenza di una vita “on the road”.